Digitalizzazione di processi, prodotti e servizi: queste sono le sfide di ogni business, in ogni settore ed in ogni parte del mondo per continuare a sopravvivere e a crescere nell’era digitale. In questo contesto la concorrenza può manifestarsi in forme inattese e lo stesso approccio al business deve cambiare radicalmente e in tempi rapidi.
Per contro molte imprese nuove ed innovative vedranno la luce nei prossimi anni e le realtà già affermate modificheranno sostanzialmente il loro modello di business.
Recenti studi hanno dimostrato che gran parte delle aziende ha compreso l’importanza della trasformazione digitale per la rispettiva sopravvivenza, ma meno del 10% di queste ha completato progetti di trasformazione digitale che coinvolgono tutta l’impresa. Tale digitalizzazione non può tuttavia avvenire senza risorse che sappiano concepire, guidare e infondere cultura digitale nell’organizzazione.
Value Search affianca le aziende che stanno affrontando processi di digital transformation nei vari stadi di tale metamorfosi, individuando i fabbisogni e identificando le risorse che possano apportare il valore aggiunto di cui l’organizzazione è alla ricerca.
Rassegna Stampa
Zerouno – 25 ottobre 2013 –
Nello scegliere nuove risorse, oggi è pratica comune verificare il profilo dei candidati su Internet e social media. Ma cosa vogliono sapere le aziende italiane e internazionali che ricercano figure di alto livello? L’esperienza di un’azienda specializzata nella ricerca di profili executive.
Nella fase di selezione di nuove risorse, è ormai prassi diffusa, per molti uffici del personale, navigare in Internet con l’obiettivo di ricostruire il ‘volto digitale’ del candidato, che andrà ad affiancare l’immagine presentata dallo stesso aspirante durante i colloqui di lavoro e i canali di comunicazione più tradizionali, influenzando la scelta a volte in modo determinante.
Ne abbiamo parlato con Giovanna Brambilla e Caterina Tortorella , rispettivamente amministratore delegato e practice leader per il settore It/Tlc di Value Search, società di executive search Milano che ricerca figure di alto profilo sul mercato italiano e internazionale. “È necessario fare molta attenzione alle tracce che si disseminano sul digitale – ha detto Brambilla -. Sempre più aziende ci chiedono infatti di ricostruire non solo la storia professionale dei candidati – il che può essere effettuato sulla base di curricula e colloqui diretti -, ma anche il loro profilo digitale, quello cioè tracciato dalle informazioni presenti in rete, spesso pubblicate direttamente dal candidato sui social network”.
Non solo: “Alcuni illustri clienti – prosegue Brambilla – ci hanno richiesto esplicitamente quali sistemi utilizziamo per effettuare credential check [da intendersi come il controllo delle informazioni rilasciate dai candidati in rete col fine di verificarne la veridicità, ndr]”. Una richiesta che, come spiega l’amministratore delegato, da un lato ribadisce l’interesse crescente per la mappatura delle informazioni rintracciabili su social network, blog e rete in generale, ma che dall’altro racconta della necessità, una volta mappata questa identità digitale, di andare al di là di questo stesso volto, di metterlo in discussione: quanto sono attendibili queste informazioni? Quanto raccontano del reale valore professionale di un candidato? “Si tratta, così abbiamo ribattezzato il tema, di ‘andare oltre lo specchio di Alice’ – afferma Brambilla -, cioè di superare l’immagine digitale, capire cosa c’è al di là, conoscere i vari volti che il web offre di uno stesso candidato (creati dal riflesso della sua immagine in più ‘specchi digitali’) e quindi studiarli per poi superarli, per capire qual è la persona”.
Se il problema delle aziende è dunque quello di scoprire che verità c’è dietro lo ‘specchio di Alice’, quello dei candidati è essere consapevoli che pure questo specchio esiste ed è oggetto di analisi. “Internet crea degli effetti paradosso – racconta Tortorella -. Ad esempio, se un candidato si dichiara fortemente interessato a una posizione in un’azienda produttrice di armi e allo stesso tempo si dichiara buddhista e contrario all’uso della violenza, il mio imbarazzo è forte: si tratta di dati sensibili resi pubblici dal candidato stesso, il quale mi ha anche autorizzato al loro utilizzo. Come devo gestirli? Come devo presentare queste informazioni al mio cliente?”. Si è molto parlato di tutela della privacy in rapporto ai dati personali sul web e alle violazioni che possono essere fatte da parte dei governi, per ragioni di sicurezza, o delle aziende, per finalità commerciali. Ma esiste appunto un’altra riflessione: “Il paradosso – conclude Tortorella – è che gli stessi candidati, lasciando queste tracce sul digitale, ‘confliggono’ con la propria privacy”: anche in casi meno eclatanti di quello citato, la poca coscienza dell’attenzione posta sull’identità digitale può rendere l’utente, in fase di ricerca di lavoro, il “peggior nemico di se stesso”.
Valentina Buc
Corriere delle Comunicazioni – 19 luglio 2013 –
PUNTI DI VISTA
La tutela dei dati nell’era del Web è sempre più difficile. Ma non bisogna abbassare la guardia: ogni utente deve fare attenzione alla consistenza delle informazioni rilasciate online.
di Caterina Tortorella , partner di Value Search.
Esiste ancora la privacy nell’era digitale? E’ un tema molto discusso in questi giorni, soprattutto in seguito allo scandalo legato alle intercettazioni americane. Per una società come la nostra, Value Search, che da più di dieci anni ricerca specialisti e manager sul mercato nazionale o internazionale, il rispetto della privacy dei nostri candidati esiste eccome ed è fortemente disciplinata da alcune leggi nazionali.
Eppure, negli ultimi tempi, la nostra società sta ricevendo delle richieste – per lo più da aziende straniere – che ci suggeriscono talvolta di ricostruire non solo la storia professionale e accademica dei nostri candidati (attività che normalmente viene svolta sulla base di un curriculum e di un colloquio di selezione), bensì anche il loro profilo digitale, ossia le informazioni presenti in rete e fruibili mediante interrogazioni sui motori di ricerca, le quali sono state pubblicate direttamente dai candidati stessi o da loro conoscenti.
Ci è capitato, ad esempio, che una nota università americana ci chiedesse esplicitamente quali sistemi utilizziamo per effettuare il “credentials check”, ossia il controllo delle informazioni rilasciate dai candidati in rete e rilevanti sotto l’aspetto professionale. Di per sé tale richiesta è interessante perché lascia supporre una duplice esigenza: da un lato quella di “ricomporre” l’immagine professionale dei candidati attraverso il riflesso delle diverse informazioni presenti in rete (network professionali, social network, blog, community, ecc.), dall’altro, quella di andare al di là di tale immagine, ponendo il tema della veridicità delle informazioni.
Nel corso di una vita di interazioni digitali, ogni individuo lascia una moltitudine di impronte virtuali e i progressi tecnologici facilitano la raccolta di dati su vasta scala, l’archiviazione illimitata, nonché il riutilizzo e il collegamento a vita di queste tracce digitali. Questo nasconde numerose insidie in termini di potenziali utilizzi imprevisti dei dati.
Facciamo un paio di esempi. Pensiamo ad un candidato che in sede di colloquio neghi il consenso all’utilizzo dei propri dati sensibili, ma che racconti la propria esperienza personale in un blog di pazienti sottoposti a cure chemioterapiche. Il paradosso è evidente: si tratta di un dato sensibile (riguardante lo stato di salute del singolo), che però è stato reso pubblico. Cosa fare? Spingiamoci oltre: un candidato che stiamo incontrando nell’ambito di un progetto di ricerca per una società del settore del tabacco, il quale, nonostante l’interesse al progetto mostrato durante il colloquio, è presente in rete con dichiarazioni contro il fumo. Dobbiamo pensare che si tratti di un’informazione rilevante sotto l’aspetto professionale? Se ammettessimo di sì, allora dovremmo informare la società nostra cliente? Quale peso avrebbe tale opinione che rappresenta un dato sensibile (riguardante una convinzione), ma è stata resa pubblica dallo stesso candidato?
Sulla base di questi esempi, evidentemente paradossali, non possiamo che consigliare ai nostri candidati, soprattutto ai giovani manager, in una logica di gestione prospettica della propria crescita professionale, di fare molta attenzione alla consistenza delle informazioni rilasciate in rete.
Labitalia – 28 giugno 2013 –
LABITALIA
Responsabili della security in rete, information officer, esperti di web marketing…
Le aziende sedotte dal fascino dei servizi online cercano le figure professionali emergenti per internet. Ecco i profili con maggiori prospettive.
Roma, 28 giu. (Labitalia) – Fare un colloquio di lavoro a bordo dello yacht del patron della Tod’s Diego Della Valle oppure sul Force Blue di Flavio Briatore. Un’idea che per gli aspiranti manager, in Italia, potrebbe diventare realtà stando ad una moda che sta prendendo piede all’estero. “I colloqui – dice a Labitalia Giovanna Brambilla , fondatrice e amministratore delegato di Value Search, società di executive search Milano che da dieci anni ricerca e seleziona figure di alto profilo sul mercato italiano e internazionale – non si fanno più solo in ufficio, ma anche sul campo da golf o in barca a vela”. “I manager – spiega – per trovare un nuovo lavoro, si devono preparare anche a incontri conviviali e sportivi: imparare a giocare a golf, a tennis o a fare immersioni. Queste saranno le occasioni per colpire il selezionatore e dimostrargli anche le buone capacità interpersonali”. “In questi contesti – fa notare – non convenzionali i manager possono dimostrare le proprie attitudini relazionali, la capacità di fare e lavorare in team e il problem solving. L’ambiente è più complesso e le imprese sono diventate molto più selettive: vogliono essere certe di assumere non solo il manager più preparato, quello che ha le esperienze e competenze richieste, ma anche quello che meglio si adatta all’ambiente di lavoro nel quale si trova ad operare, quello che meglio dimostra di saper gestire il proprio lavoro, le relazioni con il team, ancora meglio se capace di motivare il gruppo a divenire più coeso, produttivo e creativo”. “Non sempre – avverte Giovanna Brambilla – avere un curriculum vitae chilometrico è determinante, anzi: le competenze trasversali e le soft skills, (quelle che raggruppano le qualità personali, l’atteggiamento in ambito lavorativo e le attitudini nel campo delle relazioni interpersonali, i valori di riferimento), acquistano un peso sempre maggiore. E queste competenze diventano più rilevanti con il crescere delle responsabilità che il manager dovrà assumere”. Per le partner di Value Search “superare con successo una ‘stress interview’, rispondere a domande a volte strane, sostenere un colloquio alla scrivania potrebbero non bastare più per selezionare il manager adatto. Meglio mettere alla prova il candidato anche in contesti conviviali e sportivi, aperitivi e cene fuori dall’ufficio”. In contesti insomma in cui più facilmente l’individuo emerge per quello che è, scrollandosi di dosso alcune delle sovrastrutture che ognuno di noi si è costruito a protezione. Ad esempio, racconta Giovanna Brambilla , “l’ultima parola sulla scelta di un manager potrebbe essere presa durante un’uscita in barca a vela. Un colloquio in mezzo al mare offre infatti la possibilità di valutare la capacità di adattamento psicofisico del manager, lo sviluppo del lavoro di squadra, e l’autostima, la sua capacità di gestire in tempi rapidi l’imprevisto e l’errore”. Per chi soffre il mal di mare c’è il golf. “Sul campo da golf – sostiene Giovanna Brambilla – che è come un’estensione dell’ufficio all’aria aperta, il manager-giocatore deve mostrare forza mentale, pazienza e self control. Onestà e rispetto delle regole devono, obbligatoriamente, far parte del suo bagaglio”. Sul green, dunque, o in barca come in azienda per conquistare un posto di lavoro.
Il Mondo – 9 settembre 2011 – Pagina 54 –
CARRIERE IT IMPRESE A CACCIA DI SPECIALISTI DEL CLOUD COMPUTING: RICHIESTE LIEVITATE DEL 20%
Responsabili della security in rete, information officer, esperti di web marketing…
Le aziende sedotte dal fascino dei servizi online cercano le figure professionali emergenti per internet. Ecco i profili con maggiori prospettive.
[…estratto…] “Si è attivata la ricerca di figure specializzate come gli esperti soa, esperti di data center optimisation e di service management, esperti di storage management e di application consolidation…”. Ma, rileva Giorgetti, “i profili adatti devono avere anche una buona comprensione delle logiche di business e competenze di risk management, compliance e it governante”. Figure ibride, insomma, dotate di formazione specifica ma anche esperienza sul campo. “Soft skill come l’attitudine alla comunicazione e la capacità di gestione dello stress e del conflitto, poi, possono fare la differenza”. Un mix non facile da trovare sul mercato. Tanto meno quando in gioco c’è l’inserimento executive di alto livello: “Da almeno un anno riceviamo richieste di questo tipo”, sottolinea Caterina Tortorella , partner della società di executive search Milano Value Search e leader della practice It/Tlc. “I profili manageriali richiesti dai nostri clienti sono molto senior, per esempio business unit manager in grado di sviluppare l’offerta cloud per il mercato italiano, posizionandola su realtà end-user di taglio enterprise e mostrando i vantaggi derivanti dalla sua adozione”. Infatti in questa fase c’è chi deve ancora decidersi a fare il salto “sulla nuvola”. E ha quindi bisogno, sostiene Tamagni, di un traghettatore, una figura che, job title a parte, può essere identificata come cloud leader: “Per i system integrator è qualcuno in grado di legare l’analisi dei processi di business alle esigenze di servizio dei propri clienti. Per le aziende è colui che diffonde internamente le competenze basate sul nuovo paradigma unendo le conoscenze tecnologiche e architetturali a quelle sui modelli e processi di business”. Nel caso di gruppi di grandi dimensioni, questa specie di Caronte viene inserito nell’organigramma, mentre in quelli piccoli, osserva Tamagni, “è più diffuso il ricorso alla consulenza”. In effetti l’avvento del cloud ha determinato anche un rafforzamento delle divisioni dedicate all’It nell’ambito delle società di consulting… […estratto…]
Chiara Brusini