Per il lusso «recruiting» digitale


Il Sole 24 Ore – 6 Ottobre 2014

Professioni di moda. Le aziende del settore sono a caccia di figure di marketing complete, creative e flessibili
I cacciatori di teste: candidati rari, spesso esteri, non attratti dal sistema-Paese

Digital marketing e non solo. Anche mobile, e-commerce, social media. Le aziende del lusso cercano esperti a 360 gradi per un mondo che sta cambiando sempre più velocemente. E faticano a trovare professionalità complete sul mercato. Parola di headhunter, tutti alla ricerca di figure creative, flessibili, con esperienze all’estero, ma soprattutto digitali. D’altra parte, secondo un report di Luxury Interactive, l’85% dei brand del lusso dichiara di aver aumentato gli investimenti nel digitale e il 72% nel marketing sui social media nel corso del 2013.

«Una delle principali tendenze nelle nuove ricerche è legata al “digital tornando”, vale a dire al rapido passaggio da una vendita multichannel a una omnichannel. Se, infatti, fino a poco tempo fa canali diversi, come negozi fisici, vendita online e mobile, coesistevano, ora con una struttura di vendita omnichannel i punti di accesso per comprare sono intercambiabili, simultanei, e comunque strettamente connessi tra di loro di conseguenza cambiano anche le professionalità richieste nelle aree marketing e commerciale» spiega Monica Gorno, partner di Russel Reynolds Associates. Non si tratta, peraltro, di ricerche sporadiche, ma piuttosto di un trend consistente: «Dopo un periodo di riflessione, le aziende italiane e del comparto legato al made in Italy sono tornate a investire in risorse umane con un’accelerazione da fine aprile. In particolare ci sono richieste ricorrenti professionalità legate al mondo digital, dall’e-commerce al digital marketing e alla comunicazione digitale. Sono funzioni che si devono integrare in sinergia con le altre strategie aziendali, più tradizionali»

conferma Giovanna Brambilla di Value Search, precisando: «A volte ci viene richiesto di creare dei team, quindi non solo di cercare il singolo professionista. A capo del team, poi, capita che ci siano figure giovani su cui le aziende investono, perché si tratta di competenze recenti».

Essere esperti di digitale, però, non basta: «Le aziende iniziano ad avere un’attenzione al mercato e al consumatore superiore rispetto al passato e questo si traduce anche in una nuova figura all’interno delle società. È il caso della funzione di chief marketing officer (Cmo), come è avvenuto in Burberry» commenta Lorenza Di Giovanni di Korn Ferry International, aggiungendo: «Con l’avanzare della tecnologia, le interazioni umane sono sempre di meno ma sempre più importanti: sipone, quindi, il tema dell’engagement, la capacità di coinvolgere il consumatore con la customer experience, la community e la filosofia “delight your consumer”. Diventano, quindi, sempre più rilevanti le competenze che sono attinenti alla conquista della lealtà del consumatore, la capacità di stabilire con lui o lei delle connessioni emotive. In questo settore sono le emozioni che spostano le quote di mercato».

La difficoltà di costruire legami significativi con i clienti spinge le aziende a cercare professionisti qualificati nel settore: «Il brand building è sempre meno concentrato sulla parte di pubblicità tradizionale e si cercano soprattutto profili con esperienza di marketing relazionale e approccio personalizzato al consumatore.

L’esperienza all’estero diventa sempre più importante anche per capire il mondo digitale e acquisire rapidità di azione. Queste figure si trovano soprattutto nel mondo anglosassone» spiega Rossi Gorno.

Per le aziende, quindi, diventa importante riuscire a «portare il mercato in azienda: essere sempre più vicini al mercato di riferimento in termini di tipologia di prodotto e consumatori. Non si accontentano di avere l’export manager nella vecchia logica, ma ci richiedono manager che dall’estero siano disponibili a trasferirsi nel quartier generale dell’azienda per determinarne le strategie, ricoprendo posizioni ceo o di direzione generale» commenta Brambilla, osservando però: «Esistono difficoltà, da parte del sistema-Paese, ad accogliere persone che si siano abituate a vivere in un contesto internazionale: si pensi, ad esempio, alla carenza di scuole internazionali per i figli vicine ai distretti del made in Italy. Un altro ostacolo per il rientro in Italia è la fiscalità, perché la tassazione italiana è più elevata sul reddito dipendente rispetto ad altri Paesi».