Milano Finanza – 13 marzo 2014
MILANO (MF-DJ) – La crisi ha reso l’Italia sempre piu’ polarizzata, a due velocita’: da una parte ci sono aziende che competono con ottimi risultati nell’arena competitiva internazionale; dall’altra aziende che soffrono, perche’ concentrate su un mercato interno che stenta a ripartire. Non esiste una ricetta di sicuro successo o caratteristiche univoche che contraddistinguano le imprese velociste, ma certamente si possono individuare alcuni tratti comuni a queste imprese, siano esse del comparto fashion/lusso, di quello industriale o dell’alimentare, settore quest’ultimo dalle grandi potenzialita’, se si guarda anche alla vetrina che potra’ offrire Expo 2015.
A prescindere dalle dimensioni, le aziende che hanno resistito meglio alla crisi sono quelle che hanno ottenuto successi all’estero grazie a un vertice aziendale dotato di visione internazionale e manager capaci di relazionarsi con interlocutori esteri e muoversi in contesti molto diversi, dalla Russia alla Cina, dall’America Latina all’India. Il manager dell’azienda velocista sa capire le esigenze del mercato locale e riesce a adattare velocemente la propria offerta. Un esempio viene dalla moda: se si vogliono vendere abiti da sera in Medio Oriente, si deve sapere che la manica lunga e’ indispensabile. Buona tattica, piu’ che strategia. Ma guai a sottovalutare questi aspetti: sono particolari che fanno la differenza tra il fallimento e il successo in un mercato promettente.
Le aziende devono poi avere un’organizzazione snella, poco burocratica. Nelle imprese velociste si torna spesso all’informalita’ dei rapporti, con squadre piccole di persone molto coese tra loro e con la stessa visione, composte da manager capaci di fare squadra cosi’ come di prendere in autonomia decisioni complesse. In molti comparti sono forse tramontati i tempi delle filiali all’estero, che richiedono grandi investimenti sia finanziari che organizzativi e di processi, mentre spesso si opta, almeno nella prima fase dell’espansione internazionale, per creare strutture di respiro regionale, con uffici in luoghi strategici (come Hong Kong per l’Asia o Rio de Janeiro per il Sud America) da cui guidare la presenza sui singoli mercati locali, che avviene sempre piu’, nel caso del B2C, attraverso l’apertura di punti vendita in loco. Canale, questo, spesso integrato con il digital e l’ecommerce: la capacita’ di integrare on e offline e’ un fattore chiave per le aziende velociste.
Un’azienda non e’ fatta pero’ solo di organizzazione o singole competenze, ma anche di team e visione comune. La prima linea del management deve quindi essere in grado di sposare la causa del vertice: intraprendenza, velocita’, lavoro di squadra, apertura al nuovo e al mondo. Figura chiave e’ quella del Marketing Director, che deve capire le necessita’ del mercato e portarle in azienda affinche’ sia il mercato stesso a fare da guida sulle linee di sviluppo dei prodotti. Questo vale per tutti i settori: dall’industria al cibo, dalla moda alla cosmesi.
Il successo sui mercati esteri e la presenza di aziende velociste resta pero’ anche una questione di sistema Paese. Anche in Europa ci sono mercati interni che vanno meglio e sono in grado di dare maggior spinta alle proprie aziende che vogliono affacciarsi all’estero. E ci sono Paesi in cui l’imprenditoria locale e’ stata accompagnata verso l’internazionalizzazione: non solo capitani coraggiosi, dunque, ma anche un supporto strutturato attraverso missioni imprenditoriali. Le aspettative delle aziende italiane sono state a questo proposito in gran parte disattese.
Da ultimo, una nota sulla struttura manageriale di molte nostre imprese: il sistema industriale italiano vede la presenza di molte aziende nate nel dopoguerra, che hanno ormai 50 anni di storia alle spalle ma in cui a volte c’e’ ancora al vertice la prima generazione, che spesso non e’ stata capace farsi affiancare in maniera stabile e duratura da manager capaci, in grado di assumere la guida dell’azienda raccogliendo il testimone dai fondatori. Nelle grandi multinazionali lavorano spesso manager italiani che hanno fatto carriera all’estero e che potrebbero essere pronti a rientrare a patto di avere opportunita’ professionali interessanti quanto quelle che stanno lasciando. In un momento in cui si cerca di tirare fuori il meglio per far ripartire l’Italia, non si dimentichi che molte delle migliori risorse umane dell’Italia potrebbero tornare dall’estero per dare una mano alle nostre imprese. Dobbiamo aprire le porte a questi manager se vogliamo aprirle al mondo. Diversamente, il mondo entrera’ comunque. Ma lo subiremo, senza coglierne le opportunita’.
Giovanna Brambilla MF-Mercati Finanziari